Fabio Greco, presidente dell’associazione delle aziende dell’indotto
Sono state protagoniste di un vero e proprio smottamento all’interno di Confindustria Taranto. Dapprima in sedici, poi via via sono arrivate a oltre sessanta. Parliamo delle aziende dell’indotto che ruota intorno alle attività dello stabilimento siderurgico Acciaierie d’Italia. Sono fuoriuscite dalla tradizionale casa degli industriali per costituirsi in proprio: Associazione Indotto AdI e General Industries. Nel logo evidenti i richiami alle radici spartane di Taranto.
La stessa Lucia Morselli, amministratore delegato di Acciaierie d’Italia, ha avuto parole di elogio per questo gruppo di imprese e per questa iniziativa.
“Lo trovo molto bello – ha detto Morselli a margine della presentazione della Technical Academy – molto vivace, anche stimolante per la stessa Confindustria. La novità è bellissima. Il mondo deve cambiare, deve arricchirsi e deve creare protocolli di relazione nuovi. Io ho trovato un bellissimo messaggio di grande imprenditorialità da parte dell’indotto, che si è riconosciuto ovviamente in interessi particolari che riguardano l’acciaieria”
Di questa situazione che si è creata nell’ambito della imprenditoria tarantina abbiamo parlato con Fabio Greco, presidente di A.I.G.I.
Perché la fuoriuscita da Confindustria?
Confindustria è apparsa molto distratta rispetto alle emergenze che coinvolgono tutti. Perde Brindisi e non se ne accorge, perde la metalmeccanica di Taranto e non se ne accorge; espelle, errando procedura, le aziende che non ci sono più da tempo perché dimissionarie sin dal 19 gennaio 2023. Confindustria Taranto, secondo il nostro parere di ex associati, aveva deciso di non rappresentare più gli interessi di un comparto primario e fondamentale come la metalmeccanica, o, almeno, non attraverso i suoi naturali referenti e dirigenti, ma delegando esclusivamente chi di metalmeccanica non aveva alcuna contezza anche operativa. Una associazione dovrebbe essere da tripla “A”, come affermato dal presidente Bonomi in occasione dell’assemblea generale tenutasi in Arsenale a Taranto lo scorso 10 febbraio, e concordo in assoluto, ma forse era all’oscuro di tutta la situazione e di quella che è la realtà provinciale e regionale. Una associazione, oltre ad avere la tripla “A”, deve esprimere anche trasparenza, verità e competenza, e senza giochi di potere che screditano il buon operato della dirigenza tecnica. Oppure resterà solo per rappresentatare sé stessa in incontri che purtroppo alla fine non producono benefici di crescita per l’associazione, e per gli associati, che, per quanto riguarda la metalmeccanica, sono ormai nella quasi totalità dimissionari. Taranto ha bisogno più che mai di una realtà associativa che garantisca la tutela delle imprese.
Ma quale è stata la scintilla che ha prodotto la scissione?
Abbiamo avuto il timore di ricadere nella stessa situazione del 2015, quando il passaggio dell’ex Ilva all’Amministrazione Straordinaria ha comportato la perdita di 150 milioni di euro per queste stesse aziende dell’indotto. Stavolta, quindi, abbiamo avvertito l’esigenza di autotutelarci. Il famoso sciopero dello scorso gennaio, come da nostre dichiarazioni, non era importante tanto che sia i sindacati che le istituzioni di fatto non sono arrivati a nulla. Confindustria, non tenendo conto delle nostre reali esigenze, non ha aderito alle nostre proposte in ordine alle dichiarazioni da riportare nelle sedi competenti e non ha aderito alle indicazioni di rappresentanza che noi richiedevamo, rappresentanza che conoscesse bene le problematiche perché attore quotidiano della questione. Ci siamo sentiti tutti non rappresentati, ed abbiamo ritenuto di confederarci tra noi al fine di tutelare i nostri interessi, gli interessi delle nostre aziende, dei nostri dipendenti, ma anche gli interessi della crescita economica del nostro territorio. La tutela di questi interessi non può giacere solo su slogan o dichiarazioni fine a sé stesse, noi volevamo concretezza e competenza per dare un contributo alla soluzione dei problemi. Tutto ciò non lo abbiamo intravisto in Confindustria e allora abbiamo deciso di dimetterci ed iniziare a lavorare da noi: nel giro di poche settimane avendo dato prova di concretezza con fatti e non solo con parole siamo cresciuti in modo esponenziale e siamo già diventati interlocutori qualificati e dotati di rappresentanza.
E Confindustria come ha risposto?
Mandando una comunicazione via pec a 54 aziende con la quale il 20 febbraio cancellava le stesse aziende dall’anagrafica dei soci.
Ci vuole descrivere questa nuova associazione? Quante imprese siete e quanti dipendenti avete?
A.I.G.I nasce come un “cluster” che opera con i grandi gruppi industriali del territorio in una logica di distretto industriale. Siamo storicamente le naturali estensioni organiche e funzionali dei grandi insediamenti produttivi. La quasi totalità delle aziende dell’indotto oggi è in A.I.G.I. e questo vorrà pur dire qualcosa. Siamo 63 imprese più 2 consorzi dell’autotrasporto. In totale contiamo 3.772 dipendenti diretti, ai quali vanno aggiunti circa 1.300 lavoratori indiretti. Complessivamente, quindi, intorno a questo gruppo di aziende vivono circa cinquemila famiglie.
Sono numeri importanti. Ritiene che forse non siano tenuti in debita considerazione da chi invoca la chiusura dello stabilimento siderurgico come soluzione dei problemi ambientali?
Se quello stabilimento chiude, si disperderà la parte più importante dell’economia del nostro territorio: quella più specializzata. Inoltre, mi chiedo a cosa siano serviti tutti gli investimenti, tra tutti la copertura dei parchi o il revamping dei filtri meros. I primi a subirne l’impatto sarebbero il porto e l’autorità portuale, che se non riesce a movimentare almeno 12 milioni di tonnellate verrebbe assorbita da Brindisi o da Bari. Per non parlare della riqualificazione del cementificio (un investimento di circa 400 milioni ) che non avrebbe ragione di esistere in assenza dello stabilimento. L’effetto domino si avvertirebbe poi sul commercio e via dicendo. Noi vogliamo che ripartano gli investimenti a fronte dell’ ambientalizzazione e decarbonizzazione. Iniziando a parlare di produzione diversificata. Va chiarita anche un’altra cosa: lo stabilimento può produrre 6/8 milioni di tonnellate con forni elettrici, ma non si può fare a meno di consolidare e rinnovare almeno un altoforno.Senza, lo stabilimento non produrrebbe gli acciai speciali che occorrono per le fabbriche automobilistiche e i cantieri navali nonché la produzione di tubi e laminati piani ad oggi importante risorsa sul teatro europeo.
Torniamo ai problemi dell’indotto. Morselli ha annunciato di aver ristorato le imprese.
Terremo una riunione mercoledì 15 febbraio prossimo in associazione per una ricognizione ufficiale. Ma dalle prime indicazioni risulta che le aziende sono state ristorate in questi giorni, così come fu promesso e definito durante le diverse riunioni svolte tra la nostra associazione, il procuratore Luigi Sportelli e l’amministratore delegato Morselli. Sui pagamenti bisogna fare una precisazione: si tratta di soldi fatturati sei mesi fa. L’indotto ha sofferto insieme allo stabilimento in questo ultimo anno garantendo sempre il servizio di manutenzione e accettando la proposta di traslare i pagamenti da 60 a 180 giorni.
E adesso cosa vi aspettate e cosa chiedete?
Attendiamo la ripresa delle attività lavorative entro le prossime ore in modo da sbloccare la situazione di stallo della maggior parte delle nostre aziende. Solo il ripristino delle commesse sospese e l’emissione di nuovi ordini, e gare, infatti, può garantire alle aziende e ai loro lavoratori la necessaria serenità di continuità produttiva. Con il ristoro delle aziende a 360 gradi, tutto ciò significherebbe una ripresa dello stabilimento e ciò di cui questo territorio ha bisogno e cioè il rientro di tutte le unità produttive dirette che porterebbe serenità ad ulteriori 3500 famiglie. Attendiamo inoltre che la segreteria tecnica del ministro possa garantire le richieste fatte dall’associazione durante il passaggio del decreto in legge in modo da garantire una tranquillità finanziaria alle aziende dell’indotto. Le altre richieste riguardano lo Split Payment e la certificazione del credito, il riconoscimento dei crediti delle imprese dell’area di crisi di Taranto come privilegiati. Insomma, serve un intervento che possa garantire reciproca fiducia con gli istituti bancari. Vorremmo poi avere la possibilità per tutte le aziende dell’indotto dell’area di crisi di avviare la cassa integrazione con pagamento diretto da parte dell’Inps indipendentemente dall’indice di liquidità delle imprese. Chiediamo infine di riattivare la Legge 181/89 per il rilancio dell’area di crisi industriale, sempre in considerazione dei 150 milioni che è costata all’indotto l’amministrazione straordinaria del 2015. Così avremmo la possibilità di effettuare nuovi investimenti e diversificazioni produttive e recupero di posti di lavoro diretti e indiretti.
Fonte: TarantoBuonasera