Le decisioni sul “raddoppio” del Siderurgico in un libro inedito
I lavori per il “raddoppio” della produzione annua di acciaio dello stabilimento Italsider di Taranto erano iniziati nel 1971: me ne avevano fatto cenno nel corso del colloquio preassunzione. Io entrai in stabilimento a fine 1971 come responsabile dell’UCM – Ufficio Centrale di Manutenzione. In quell’ufficio non si sapeva niente sui nuovi impianti e men che meno sulle motivazioni del cosiddetto “raddoppio”. Mi imbattei fortunosamente nel volume “Atti del millennio della ricostruzione di Taranto 967 – 1967” edito nel 1971 dall’Ufficio pubbliche relazioni del Comune di Taranto, Grafiche ANGELINI & PACE – Locorotondo, non in vendita.
Quel volume riporta gli atti della storica giornata del 28 dicembre 1967, conclusiva delle celebrazioni del Millennio di Taranto con il patrocinio del Comitato d’onore presieduto da Giuseppe Saragat Presidente della Repubblica e Aldo Moro Presidente del Consiglio dei Ministri. Di quel volume mi attrassero particolarmente due relazioni.
La relazione “Mille anni di storia militare e navale di Taranto” dell’Ammiraglio di Squadra Alessandro Michelagnoli Capo di Stato Maggiore della Marina Militare Italiana, raccontava con accattivante semplicità e precisione il millennio tarantino in ottica navale e militare. La lessi con partecipazione affettiva: avevo conosciuto direttamente l’ammiraglio Michelagnoli nei due anni (1963 – 1965) da me trascorsi a CINCNAV di cui lui era Comandante in Capo della Squadra Navale. L’ammiraglio Michelagnoli era morto da poco, il 15 settembre 1969, ed io vivevo, e vivo ancora, il motto “una volta marinaio, marinaio per sempre”. Al termine della sua splendida lezione di storia navale e militare di Taranto nel millennio, l’ammiraglio Michelagnoli dice: “Oggi all’importanza di Taranto base navale ed arsenalizia, si aggiunge un imponente sviluppo industriale, testimone della volontà delle genti del Sud di inserirsi nel gioco della qualificazione produttiva per la conquista di nuovi mercati.”
La relazione “Lineamenti dell’evoluzione socio-economica della città di Taranto” del prof. Giuseppe Petrilli (già docente all’Università di Roma, presidente INAM, Commissario Europeo agli Affari Sociali, Presidente I.R.I. dal 1960) è una puntuale, analitica e scorrevole storia socio-economica del millennio tarantino fino ai favolosi anni ‘60. Trovai così, dette dal numero uno dell’I.R.I., origini e motivazioni del “raddoppio” che qui sintetizzo brevemente.
Come si arriva al “Raddoppio”
La scelta governativa di indirizzare su Taranto il IV Centro Siderurgico Italsider nasce da lontano.
Nel 1933 si costituisce l’I.R.I. – Istituto per la Ricostruzione Industriale, finanziato con denaro pubblico e guidato da Alberto Beneduce. Vanno sotto il suo controllo, tra le altre, Ilva, Terni, Banca Commerciale, Credito Italiano e Banco di Roma. Nel 1937, trasformato in Istituto a carattere permanente, l’IRI crea, tra le altre, Finsider, Finmeccanica e Fincantieri. Nel 1950 Oscar Sinigaglia, presidente Finsider, organizza un piano industriale che coinvolge tutta la siderurgia italiana. Nel 1956 parte la costruzione dell’Autostrada del Sole che avvia il “miracolo economico italiano” di cui l’IRI è il fiore all’occhiello. Le aziende del gruppo seguono criteri imprenditoriali e nel contempo curano l’interesse della collettività. Lo Stato lancia la sfida nel Mezzogiorno con la costruzione dell’Italsider di Taranto e dell’Alfa Sud a Pomigliano d’Arco. Ciò era in linea con l’idea che all’economia nazionale facesse bene “la presenza di iniziative imprenditoriali controllate e promosse dallo Stato per il tramite di enti di gestione, nel rispetto della struttura privatistica delle aziende”. La politica meridionalistica puntava all’attuazione di opere pubbliche e provvedimenti destinati ad incentivare le attività imprenditoriali dei privati”. La cosa non funzionò perché non collegata all’industrializzazione vera e propria. Per questo “le aziende a partecipazione statale furono impegnate dalla legge 29 luglio 1957 a localizzare nel Mezzogiorno almeno il 40% dei propri investimenti totali. L’apporto dello Stato alla produzione industriale si polarizzò verso la “siderurgia litoranea (i tre Centri siderurgici a Cornigliano, Bagnoli e Piombino) la cui localizzazione non è più legata alla disponibilità di risorse minerarie e che trasforma nelle stesse località di sbarco il minerale acquistato alle migliori condizioni di mercato. Questa siderurgia a ciclo integrale e a lavorazione continua, che ha fatto dell’Italia un Paese esportatore di acciaio, ha determinato altresì un vistoso aumento del consumo di acciaio pro-capite e ha costituito la principale premessa del grandioso sviluppo conosciuto dalla nostra industria meccanica.” In sede IRI si pose il problema della costruzione di un IV centro a ciclo integrale della capacità di un milione di tonnellate/anno. Il Comitato per lo Sviluppo dell’Occupazione e del Reddito si espresse a favore determinandone l’ubicazione nel Mezzogiorno (Legge 29 luglio 1957) e segnatamente nella regione costiera delle Puglie. La scelta dell’ubicazione tarantina fu operata da un Comitato Finsider sulla base di un complesso di requisiti. A luglio 1959 il Governo affidò all’I.R.I. l’esecuzione dei lavori per il IV Centro siderurgico di Taranto, concepito fin dall’inizio secondo una visione globale dell’interesse nazionale e quindi in una prospettiva italiana, anzi europea. Il IV Centro siderurgico ha portato a Taranto l’esperienza insostituibile, e radicalmente innovativa, di un impegno imprenditoriale pienamente competitivo, a livello nazionale e internazionale.
L’accelerata espansione del consumo di acciaio in Italia, che dal 1958 al 1962 era passato da 6,3 a 12 milioni di tonnellate/anno, imponeva un consistente aumento della capacità produttiva nazionale che fu portata a 3 milioni di tonnellate, con possibilità di accrescerla fino a 6 milioni.
Nel 1966 lo stabilimento di Taranto, con 2,2 milioni di tonnellate, ha prodotto da solo una produzione pari all’intera produzione nazionale di acciaio del 1950.
E il prof Petrilli aggiunge: E’ ancora difficile precisare in termini quantitativi ciò che tutto questo ha significato per la vita della cittadinanza.
Di contro sono imponenti i numeri della popolazione, del porto, dei lavoratori, del reddito pro capite, con previsioni di ulteriori aumenti, in funzione dell’aumento della capacità produttiva dello stabilimento fino a 10,5 milioni di tonnellate anno.
L’evoluzione storica della capacità produttiva del Siderurgico.
Apprese le motivazioni e le origini del “raddoppio”, per evitare brutte figure all’interno, ricercai e memorizzai le varie fasi della costruzione dello stabilimento.
1957 In città corrono le prime voci circa la localizzazione di uno stabilimento siderurgico nella zona di Taranto. Il sindaco, Raffaele Leone, convoca una riunione per la costituzione di un Consorzio per l’area industriale. I sindacati hanno un atteggiamento favorevole alla localizzazione a Taranto del centro siderurgico. Nell’opinione pubblica e nelle associazioni non vi sono opposizioni rispetto alla localizzazione dell’impianto a Taranto.
1959 Il Comitato dei Ministri per le Partecipazioni Statali delibera la costruzione a Taranto del IV Centro Siderurgico Italsider. In città si festeggia.
1961 Iniziano i lavori di costruzione con un target produttivo di 3 milioni di tonn/anno di acciaio.
Gli studi commissionati dalla Finsider individuano 3 zone comunali che presentano caratteristiche idonee. Si decide la localizzazione dello stabilimento con superficie di 528 ettari, separato dalle abitazioni cittadine solo da una strada statale senza tener conto delle prescrizioni del Piano Regolatore. La Camera di Commercio, con un documento di qualche anno prima, ribadiva la necessità dell’ubicazione della nuova area industriale in prossimità delle grandi linee stradali, ferroviarie e marittime. Si costituisce il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale (Consorzio ASI) che cerca di regolamentare l’insediamento della grande fabbrica. Al censimento del 1961 la città registrava 194.609 abitanti.
1962 Iniziano i primi lavori per la costruzione dello stabilimento. I bulldozers sradicano ventimila alberi di ulivo tra l’indifferenza generale, anche di quei proprietari terrieri che vengono comunque risarciti con buoni indennizzi. Partono i Tubifici per una commessa russa di tubi di grande diametro; seguono gli altri impianti del ciclo integrale siderurgico. L’Italsider rappresenta una speranza per la popolazione che la percepisce come una opportunità di miglioramento delle condizioni di vita. Si avvia il Boom economico tarantino: la popolazione aumenta di oltre 32.000 unità. Alcune associazioni segnalano mancanza di infrastrutture ed eccessivo sfruttamento delle risorse naturali.
1964 Ad ottobre viene avviato il primo altoforno. Il Circolo Universitario Popolare Jonico – CUPJ, si trasforma in Università Popolare Jonica – UPJ. Nei suoi locali, per la prima volta, il direttore dello stabilimento ing. Arnaldo Mancinelli si confronta con la cittadinanza sulle grandi questioni ecologiche. Italia Nostra esprime perplessità nei confronti di un’industrializzazione incontrollata.
1965 Entrano in funzione altri due altoforni per un assetto produttivo di 4,5 milioni di tonn/anno di acciaio. La produzione di acciaio è di 1,5 milioni di tonn/anno, con 4.739 addetti.
1968 Gli investimenti ammontavano già a 600 miliardi rispetto ai 160 previsti. Il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) delibera i lavori di ampliamento con il target di 10 milioni di tonnellate anno. Con il progetto di ampliamento lo stabilimento passa da 528 a 1500 ettari. Il Consiglio Comunale è chiamato ad esprimersi rispetto all’ipotesi di ampliamento. Cresce il dibattito con forze politiche e sindacali che affrontano la questione ambientale. Nella notte di Natale il Papa Paolo VI celebrò la Messa tra i lavoratori dell’Italsider.
1970 Nel 1970 la produzione è di 3,36 milioni di tonn/anno, con 9.430 addetti.
1971 A gennaio la Giunta Comunale nega la licenza edilizia per l’ampliamento. L’ambientalismo locale muove i primi passi con manifestazioni pubbliche e momenti di sensibilizzazione e riflessione soprattutto nel quartiere Tamburi, il più colpito dall’attività industriale. Il 31 gennaio Italia Nostra organizza la manifestazione “Taranto per un’industrializzazione umana”. Ai Tamburi si raccolgono 700 firme per sensibilizzare le Istituzioni sul problema ambientale.
A marzo il Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno invita il Comune a concedere all’Italsider la licenza “in precario” per i lavori d’ampliamento.
La direzione dello stabilimento, nel corso del dibattito sull’ampliamento, annuncia investimenti per 50 miliardi di lire per il perfezionamento e potenziamento di impianti di depurazione e abbattimento dei fumi. Si annunciano ulteriori investimenti in eco-compatibilità per 75 miliardi di lire.
Viene istituito il Comitato Regionale per L’Inquinamento Atmosferico (CRIA) ma sin dal suo insediamento il Comitato non interverrà nell’area di Taranto.
A settembre parte l’altoforno 4. A ottobre, dopo le pressioni del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno, il Comune concede la licenza “in precario”.
L’Amministrazione Provinciale organizza il convegno “Inquinamento ambientale e salute pubblica a Taranto”, durante il quale per la prima volta si confrontano amministratori locali, studiosi, sindacalisti, ambientalisti e rappresentanti dell’industria. Si decide di condurre uno studio sull’inquinamento atmosferico che viene commissionato dal Comune. “I primi risultati indicano che nella zona occidentale della città esiste un processo di crisi ambientale”.
Al censimento del 1971 la città registra 227.342 abitanti.
Biagio De Marzo – Federmanager Taranto
(5. continua)
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Fonte:
https://buonasera24.it/news/home/881284/le-decisioni-del-siderurgico-fino-al-raddoppio.html